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Funzionano, è proprio il Pd che le rovina

Il fatto quotidiano

Sa quante sono le primarie svolte?

Poche decine, direi.

“Il loro numero è impressionante: tra 620 e 640. E le anomalie riscontrate rappresentano una percentuale modesta del campione”.

La cifra la detta Gianfranco Pasquino, politologo e curatore di una ricerca sugli esiti della selezione della leadership attraverso il voto popolare. Professore, la cifra è enorme ma nella valutazione della vitalità democratica di questo esperimento non si può mettere sullo stesso piano Napoli e Chioggia.

Esistono casi rilevanti, non discuto. Quel che mi preme dire è che le primarie sono una strada sicura per attivare energie nuove, far crescere personalità anche fuori dal partito. La somma degli scandali, chiamiamoli così, non compensa la quantità dei frutti positivi che la selezione attraverso il voto popolare ha comunque offerto.

Eppure le primarie appaiono uno strumento che danneggia il partito, riconducendolo alle etnie, alle bande.

Sono gli stessi dirigenti che le organizzano male. Dove il partito è diviso la conseguenza sarà di una selezione caotica. Ma resta intatta la qualità del tentativo. Le primarie servono se allargano la base dei partecipanti. E nella maggioranza dei casi il risultato è raggiunto.

Anche se si raccolgono gruppi di stranieri e li si conducono ai seggi a mo’ di gregge?

Quello no. È un atto deteriore di populismo, un’interpretazione mediocre della multiculturalità dare a chi non è cittadino italiano la possibilità di votare. Cofferati lamenta appunto il voto inquinato. Capiremo tra qualche giorno quanti sono questi casi. Però non dimentichiamoci che Cofferati era un paracadutato e a qualche ligure magari non è piaciuto che il compagno di Cremona, già sindaco di Bologna, ora europarlamentare, volesse scalare la vetta di Genova.

Se le primarie rappresentano una boccata d’aria pura perché la condizione del Pd è da catalessi?

Perché si confonde il partito con le primarie. Io sto difendendo queste ultime, che magari possono essere ancor meglio definite e regolamentate, ma che hanno caretteri di sanità politica. Sul partito cosa vuole che le dica? L’emorragia degli iscritti denota una vita interna asfìttica. Del resto abbiamo un premier che è anche segretario di un partito che non gli piace e non gli interessa. Fa di tutto per dimostrarlo e i risultati sono tangibili”.

Il Pd ha stabilizzato le correnti, i cacicchi, aggregando volti misteriosi e a volte pieni di ombre.

È divenuto una piattaforma di promozione sociale ed economica. Difatti la maggioranza dei parlamentari gode di un reddito che mai avrebbe conseguito se avesse condotto una vita al di fuori della politica. È una piattaforma di lancio di personalismi non un luogo dove le idee si forgiano, la discussione divampa dinanzi a ideali contrapposti, a strade diverse da percorrere. La disunità del partito, lo scarsissimo interesse verso la società civile è questione da non sovrapporre all’istituto delle primarie. Le ripeto: sono oltre seicento i casi di verifica del consenso. In seicento città, piccole, medie, grandi, si sono svolte corse elettorali dignitose. In alcuni casi, penso a Cagliari con Zedda, a Milano con Pisapia, sono venuti fuori nomi lontani dal circuito dei maggiorenti. È un bene.

Però in alcune città nemmeno si può tentare la conta: veda Napoli. Certo, è così, E a Genova c’è la nube tossica dei sospetti. A Roma poi devono fare la conta degli iscritti e dividere i falsi dai veri.

Roma è stata sempre detenuta da famiglie politiche. Quelle del Pci dei Bufalini, dei Rodano erano illuminate. Queste sono etnie mercenari”.

Se Roma è così, è ipotizzabile che altrove sia uguale o peggio.

O anche meglio.

Lei è ottimista. Ma il Pd non è in buona salute, e pure Renzi sta declinando nei sondaggi.

Non sono iscritto al partito e non ho votato Renzi. Il quale (prendo a prestito una frase di Lincoln) può ingannare tutti per una volta, qualcuno tutte le volte, ma non tutti per tutte le volte.

A. Cap.

Intervista pubblicata il 13 gennaio 2015