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Ascoltare la voce del popolo

Chi crede nella democrazia, vale a dire nel potere del popolo, seppure esercitato, come sta scritto nella Costituzione italiana, “nelle forme e nei limiti” da essa stabiliti, ha il dovere etico e politico di accettare il referendum. E’ esattamente una delle forme attraverso le quali quel potere si esercita: abrogando leggi, respingendo o confermando le riforme costituzionali, eccezionalmente, quando consultivo, esprimendo pareri dai quali governanti e rappresentanti possono trarre utili e importanti suggerimenti operativi. In generale, i referendum sono strumenti decisionali. Non debbono essere usati per accrescere il potere dei governanti ovvero, peggio, di un governante, colui che ha imposto il referendum e vuole un giudizio sulla sua persona. In qualche modo, Cameron ha fatto proprio questo. Ha imposto un non necessario referendum sulla permanenza della Gran Bretagna in Europa, oppure sulla sua uscita, prima per consolidare la sua leadership nel Partito Conservatore, poi per rafforzarsi come capo del governo. Votando a favore della Brexit, l’elettorato, inglese e gallese, ha anche punito questo uso improprio del referendum. Opportunamente, Cameron ne ha tratto la logica conseguenza che non rappresenta più la maggioranza degli elettori e ha dato le sue dimissioni. Non si aprirà nessuna crisi epocale. Non si avrà nessun ritorno al Medioevo oscurantista. Non sarà effettuato nessun salto nel buio. I parlamentari conservatori e gli iscritti sceglieranno un nuovo capo del partito che, com’è la norma nelle democrazie parlamentari, avendo una maggioranza a suo sostegno, diventerà capo del governo. Per gli italiani che sanno capire l’antifona, tutto è chiaro come il cristallo (mi permetto di tradurre dall’inglese che continuerà a essere una lingua molto importante).
La lezione politico-istituzionale non è affatto che non si debbono più fare referendum. Al contrario, i politici dovrebbero finalmente rendersi conto che un po’ dappertutto negli Stati-membri dell’Unione Europea è presente un diffuso malcontento che i rispettivi cittadini esprimono in parte, nelle elezioni per il Parlamento europeo, astenendosi in massa oppure convogliando il loro voto sui partiti/movimenti euroscettici/euroostili, che è molto sbagliato definire tutti indistintamente populisti (sono per lo più nazionalisti), in parte, quando ne hanno l’occasione (com’è stato in Francia e in Irlanda) nei referendum. Togliere la parola al popolo significa amputare una parte significativa, essenziale del repertorio democratico. Affermare, come hanno fatto alcuni altolocati italiani appartenenti sia all’elite politica sia all’elite tecnocratica, che il popolo (in questo caso britannico) ha sbagliato perché ha votato male informato, per risentimento, per paura, soprattutto contro l’immigrazione, per preservare un’obsoleta e superata idea di nazione, addirittura contro le elite, degli intellettuali, delle celebrità, dei banchieri, significa dare ragione a quel popolo. Significa anche che le elite hanno perso contatto, da tempo, con i loro concittadini; che li hanno trascurati, persino snobbati; che non conoscono le loro condizioni di vita e meno che mai i loro sentimenti e le loro emozioni; che non si curano dell’esistenza di gravi e profonde diseguaglianze.
La soluzione non può essere in nessun modo cercata nel sottrarre al referendum il giudizio “popolare” sull’Unione Europea. E’ una soluzione che non risolve nessuno dei problemi dell’Unione, delle elite, degli Stati-membri ed europee, del popolo. Andare, come avrebbe voluto Altiero Spinelli, grande federalista e autore, fra l’altro, di un libro molto critico delle elite di Bruxelles, Gli Eurocrati (1966), è preparare la strada per una “Unione più stretta”. Quella Unione, che è certamente l’obiettivo mobile da conseguire, non potrà essere raggiunta senza il popolo, meno che mai contro il popolo. Per gli eurotecnocrati e i loro amici, per le elite politiche, nelle loro capitali e a Bruxelles, è il momento, non tanto della pur meritata “punizione” da comminare a Cameron, ma della indispensabile e urgente riflessione sull’Europa dei popoli.

Pubblicato il 26 giugno 2015


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